Un viaggio dentro i social di oggi, dove l’AI plasma voci, immagini e ritmi. Un racconto su come cambia il nostro sguardo mentre tutto si trasforma.
A volte basta aprire un social “per un minuto” e il resto viene da sé: un video di cucina a velocità smodata, un meme che sembra scritto dal tuo migliore amico, un reel motivazionale girato con la stessa luce e la stessa musica degli ultimi dieci.

Non fai in tempo a capire perché te li ritrovi davanti, ma la sensazione è chiara: qualcuno sa esattamente come catturare la tua attenzione. E quel qualcuno, ormai, è quasi sempre un modello di intelligenza artificiale.
Il punto interessante è che non ce ne accorgiamo subito. Ci sembra ancora di vivere nei social di qualche anno fa, quelli in cui decidevano gli amici, i like, le persone vere. Poi un giorno guardi il tuo feed e ti rendi conto che qualcosa è cambiato: i contenuti non sembrano più spontanei, sembrano progettati. Ed è proprio così che stanno andando le cose.
Oggi il meccanismo non si limita a “mostrare ciò che potrebbe piacerti”. Qui si parla di modelli che imparano il tuo comportamento secondo per secondo e prevedono quali video guarderai per intero, quali abbandonerai e quali ti spingeranno a restare nell’app un minuto in più. Il feed non riflette più ciò che segui: anticipa ciò che probabilmente farai. Una sorta di versione digitale del “ti conosco meglio di quanto tu conosca te stesso”.
È un’evoluzione rapida, quasi invisibile, che però definisce tutto ciò che vediamo. Gli algoritmi classici si sono trasformati in un motore capace di creare cluster di preferenze, abitudini, micro-emozioni. E il risultato è che, mentre scorri, il social sta già scrivendo il tuo prossimo scroll.
Quando l’AI non si limita a scegliere: crea
La vera svolta arriva qui. Non è più solo una questione di ordine: l’AI genera contenuti. E in massa. Video con voci sintetiche che spuntano ovunque, immagini troppo perfette per essere reali, post costruiti con la precisione di una macchina che produce infinite versioni della stessa idea. Ogni giorno entrano in circolazione migliaia di contenuti “seriali”, tutti figli dello stesso stampo narrativo.

Nel mio lavoro lo vedo in modo lampante. Brand piccoli e grandi producono decine di post al giorno grazie ai generatori automatici. Alcuni funzionano, altri sembrano il compito copiato del vicino. Intanto i social si affollano di frasi motivazionali, liste di consigli, ricette, mini-pillole di informazione che hanno tutte lo stesso sapore. È come entrare in una stanza piena di voci identiche, ognuna convinta di avere qualcosa di nuovo da dire.
Questa è forse la parte più curiosa e, allo stesso tempo, più inquietante. Apri Instagram o TikTok e senti una specie di eco costante: ogni video ricorda un altro video, ogni frase suona come un’altra frase. L’AI non copia, moltiplica. Ed è qui che si perde quella casualità che un tempo rendeva i social un posto divertente, imprevedibile, persino caotico nel senso buono.
Oggi l’imprevedibilità è calibrata. L’emozione è ottimizzata. L’autenticità deve fare a pugni con un esercito di contenuti generati in pochi secondi. È ancora possibile distinguere ciò che nasce da una persona reale da ciò che è frutto di un modello? Sì, ma richiede attenzione, e forse un po’ di nostalgia per quando il web era un grande laboratorio spontaneo.
Alla fine la questione non è demonizzare l’AI. È capire come non farci travolgere. I social restano strumenti potentissimi, capaci di mostrare il meglio e il peggio di ciò che siamo. E l’AI è solo uno degli ingredienti nella ricetta. La voce che scegliamo di ascoltare, però, quella resta umana. Sempre.




