Un social di cinefili decide di rimettere al centro il gesto più semplice: entrare in un videonoleggio, chiedere un consiglio, trovare una rarità. Solo che stavolta accade online, e accade qui.

Ho sempre pensato a Letterboxd come a una piazza. Aggiungi un film in watchlist. Lo trovi nella lista di un amico. Leggi due righe di una recensione e ti scatta la curiosità. Poi arriva lo scoglio: dove lo vedo? Il tasto “Dove vedere”, alimentato da JustWatch, aiuta. Ma quando cerchi un restauro, un titolo da festival, un cult introvabile, spesso inizi un pellegrinaggio tra piattaforme. Fin qui, routine.
Arriva il Video Store di Letterboxd anche in Italia. Un negozio digitale integrato nell’ecosistema del sito, con un focus dichiarato su chicche, rarità, cult e titoli inediti nel circuito locale. L’idea è semplice: noleggi o acquisti, guardi legalmente, e la visione finisce nel tuo diario. Le liste si allineano, le recensioni si popolano, le scoperte circolano meglio. La logica è da cineclub, non da ipermercato: poca dispersione, molta curatela.
Cosa c’è di ufficiale e verificabile?
Il progetto del negozio è stato anticipato e raccontato sul blog della piattaforma. La società, nata nel 2011 in Nuova Zelanda per iniziativa di Matthew Buchanan e Karl von Randow, ha consolidato le proprie ambizioni dopo l’acquisizione di maggioranza da parte di Tiny nel 2023. Questo passaggio ha spinto nuove funzioni e, oggi, l’estensione commerciale più naturale: un video store pensato per chi già vive lì dentro.
Al momento non risultano pubblici i dettagli su prezzi, finestre di visione e dimensioni del catalogo italiano. Non è stata comunicata la lista dei distributori indipendenti coinvolti in Italia. La promessa editoriale però è chiara: valorizzare film fuori dai radar, lavori passati per festival, restauri, edizioni speciali. Se cerchi prodotti di catalogo in stile “tutto e subito”, altre piattaforme faranno al caso tuo. Qui l’orientamento è la scoperta.
Perché può interessare all’Italia
Il mercato locale vive una contraddizione evidente. L’offerta mainstream è ampia, tra RaiPlay gratis e i grandi servizi in abbonamento. Ma una parte importante di cinema d’autore, documentari sperimentali, cinema di genere riscoperto, resta sparsa: un po’ su MUBI, un po’ in home-video, un po’ in festival e retrospettive. Manca un corridoio unico che unisca passaparola, contesto critico e disponibilità legale. Qui Letterboxd ha un vantaggio strutturale: la comunità c’è già, le liste girano, i gusti si contaminano. Se il negozio porta in casa film che altrimenti richiederebbero cacce infinite, cambia la frizione d’accesso.

Immagina: un noir taiwanese passato al Far East Film Festival, un horror urbano degli anni ’90 restaurato, un documentario musicale con diritti intricati. Li incontri in una lista curata, leggi tre righe incisive, e a due clic puoi noleggiarli. È la vecchia socialità del videonoleggio che si riaccende, senza nostalgia forzata. E con un plus: le metriche della community funzionano da bussola. Tag, liste, voti, recensioni sintetiche. Niente algoritmi opachi. Solo segnali umani.
Ci sono anche rischi. La frammentazione dei diritti territoriali può limitare la disponibilità. La scarsità di metadati chiari su edizioni, audio e sottotitoli potrebbe frustrare i più esigenti. Su questi punti, l’azienda dovrà essere precisa fin dal day one. È un banco di prova credibile per una realtà che, negli anni, ha già costruito infrastruttura e fiducia.
Forse è questo il punto che aspettavamo: non un altro catalogo, ma un negozio con una voce, innestato su una conversazione viva. La domanda resta aperta e bella: se i film rari tornassero ad avere una porta d’ingresso condivisa, cosa cambierebbe nel modo in cui li scopriamo? Magari la prossima sorpresa non ci aspetta in fondo alla watchlist, ma dietro un cartello luminoso: “Aperto”.





